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Retroingegneria dell'emozione

bye bye psicotecnica   

IL METODO: sempre più intelligenza emotiva applicata e sempre meno psicotecnica. 

Un cambiamento radicale e ancora poco noto.


Anche quest'anno i miei allievi otterranno eccellenti risultati scenici, emozionali e sinceri senza che io frughi nel loro passato.
La psicotecnica poteva farli piangere in scena attraverso il ricordo di traumi ed eventi drammatici della loro vita. Questa strategia, per decenni considerata anche terapeutica, ha già intossicato l'organismo di migliaia di artisti, rendendoli ciclotimici e depressi, o non aiutandoli certo a risolvere una loro depressione preesistente.

 

La relazione tra genio e follia è nota: il vero artista obbedisce all'urgenza di tuffarsi dentro di sé, di attingere all'inconscio, ma rischia spesso di perdersi nel caos sottostante.
La sua coscienza è invece l'indispensabile strumento di differenziazione. Per mezzo del fare arte essa libera e trasforma il fuoco interiore in una forma visibile a tutti.
E' possibile esplorare l'inconscio, fonte di ogni ispirazione passata, presente e futura, senza rischiare di annegare?

So di aver trovato una via. 
C'era un errore di fondo che riguardava la durata della sofferenza nella quale l'artista si identificava. Tale durata oggi appare fortunatamente in contrasto con il potenziale di recupero istantaneo osservato dalle moderne neuroscienze.
 

Ho identificato tale errore e l'ho corretto: la sofferenza, pur necessaria a trascrivere molte esperienze, doveva essere considerata una semplice fase di apnea dalla quale riemergere al raggiungimento dell'obiettivo.
Anche dopo un record mondiale di immersione, è preferibile che l'atleta torni sempre alla luce a prendersi aria e medaglia!

 

Uno dei punti nodali che certamente attiva la capacità di molti allievi di comunicare il loro mondo interiore con tale efficacia sono i nostri esercizi di visualizzazione. Passiamo intere sessioni a ricreare con lo sguardo forme di varia natura e a interagire con esse in scena. L'obiettivo principale sembra semplicemente quello di tenere l'attenzione dell'attore centrata su un'attività creativa. E' un valido metodo per non lasciare spazi a sentimenti di paura o di vuoto. Funziona. Ma accade anche altro. A forza di praticare tali esercizi migliorano anche la qualità e la frequenza dei nostri sogni. Ne facciamo sempre di più, e sempre più lucidi.  Gli addetti ai lavori approfondiscano la relazione tra visualizzazione e stimolazione della ghiandola pineale.

A noi interessa che l'artista scopra di poter attingere a dimensioni del proprio essere, e dunque del proprio inconscio e della propria anima, di una vastità impressionante. Questo corrisponde ad un maggior potere conoscitivo e creativo.

 

Oggi credo che la volontà ben diretta di creare oggetti immaginari nello spazio scenico sia davvero in grado di concentrare energia in una forma di informazione ancora non visibile, ma istantaneamente condivisibile con la platea volontariamente ricettiva.

La fisica conforta tali intuizioni. Se certi fenomeni sono osservabili nei chilometrici acceleratori di particelle, è legittimo pensare che la nostra coscienza non ne sia esclusa. Anzi,  è confortevole scoprire che la scienza non può più separare l'osservatore dall'oggetto osservato, così com'è impossibile separare l'attore dal personaggio che studia e poi interpreta.

 

In seguito a una reazione a catena di affascinanti conferme, delle quali fui testimone e protagonista, e supportato dall'incoscienza "attiva" del mio emisfero destro, sono arrivato ad assumere anche un altro atteggiamento attualmente rivoluzionario, prendendo le distanze dalla psicotecnica e cercando soluzioni interpretative poste semmai nel futuro dell'attore piuttosto che nel suo passato.

Mi sembra comunque di cavalcare il cambiamento epocale che vedo riflesso anche in altri ambiti della formazione e della comunicazione: il problem solver, chiamato da sempre a mettere sotto analisi aziende e persone per evidenziare i motivi dei fallimenti, viene oggi sostituito dalla moderna figura del consulente di programmazione neuro linguistica. Il piennellista ignora e volutamente lascia in pace il passato di imprenditori inconsolabili, sviluppando invece dinamiche e sovrascritture utili al raggiungimento del successo. Questo traguardo d'oro viene posizionato astutamente, come una potente calamita, proprio nell'immediato futuro.

Fino a qualche anno fa ero convinto che la psicotecnica fosse la strada maestra per poter attingere alla libreria delle nostre emozioni: mettevo in analisi l'attore, lo invitavo a ricordare un tragico episodio della sua infanzia per poi sfruttare il suo dolore come sottotesto per le battute del personaggio.

 

Tre cose mi fecero cambiare idea, facendomi vedere per alcuni importanti aspetti la psicotecnica come un metodo pericolosamente entropico.

 

  1. Spiacevoli effetti collaterali: quando si tratta di rievocare emozioni negative, l'attore resta spesso intossicato dalla tristezza anche oltre l'orario di laboratorio.

  2. Il ricorso alla psicotecnica dà luogo a una forma facilmente riscontrabile di assuefazione: lo stesso ricordo, tragico o divertente, perde rapidamente la sua capacità emotigena, raggiungendo in breve la morte termica. Una barzelletta ti fa ridere la prima volta, sorridere la seconda, alla terza dici  “ah, si la so..."

  3. L'attore in scena non sempre ha il tempo di differenziare il suo stato emotivo per mezzo dell'esercizio di psicotecnica. Se il cambio dev'essere repentino, come quando ci informano di una tragedia inaspettata, il tempo a disposizione è spesso quello di un respiro.

 

La soluzione: il regista diventa un coach piennellista e applica una forma di retroingegneria dell'emozione.

Attingere in maniera automatica al nostro archivio di emozioni, seguendo una semplice e immediata procedura,  garantisce risultati identici a quelli promessi dalla psicotecnica, ma senza quei fastidiosi effetti collaterali.

La chiave è nel confidare nella capacità autonoma del nostro secondo cervello addominale di renderci pronti all'azione, producendo all'istante quelle sostanze emotigene necessarie nei casi per esempio di attacco, difesa o fuga, oltre a quelle endorfine responsabili anche del nostro buon umore.

Dopo la pratica di una sequenza di esercizi si comprende con chiarezza come lo sforzo fisico produca un tipo di energia indifferenziata pronta a qualunque uso.  

Questo significa creare degli effetti assolutamente sinceri anche in assenza di una causa reale. E' sconvolgente per alcuni, ma tutti comunque ne fanno esperienza già dalle prime ore di laboratorio.

L'applicazione di questa tecnica non intralcia il lavoro di identificazione col personaggio. Dimostrare di poter creare un'emozione senza partecipare ad un dramma reale o virtuale è solo un esercizio per evidenziarne l'efficacia. Va considerato uno strumento formidabile sia per l'attore che sta vivendo il suo ruolo, sia per il comunicatore che di fronte ad una platea debba superare un momento di calo energetico per tornare ad arricchire di emozione la sua presentazione. La sensibilità e l'intelligenza dell'attore adatteranno le emozioni così differenziate alla vera azione del dramma prevista dal copione, consentendogli di vivere pienamente la parte. Potrà suggestionarsi fino al pianto e nessuno avrà elementi per accusarlo di recitare male in quanto l'organismo sta liberando proprio quei neuropeptidi atti allo scopo.

Rispetto all'attore tutto psicotecnica e depressione post spettacolo, il nostro artista avrà poi tutti gli strumenti per detossicarsi dal quantitativo di adrenalina e cortisolo. Sarà sufficiente far seguire all'esplorazione delle zone più oscure, tragiche e ispiratrici del suo sentire un esercizio di risata, anche senza una causa reale. Tanto basterà a restituirgli il buon umore e a fortificare i suoi anticorpi.

 

Pescare nel futuro l'emozione richiesta.

Un'altra osservazione che a molti apparirà zen vuole scardinare il luogo comune dell'infallibilità della psicotecnica e prendere le distanze dalla confortevole visione di una realtà solo causa ed effetto. La fisica che ricerca particelle sopraluminali offre una suggestiva soluzione strategica all'attore moderno, all'attore quantico, sussurrandogli di prelevare l'emozione direttamente dall'immagine futura del personaggio da interpretare.

La maschera descritta dall'autore diventa così un potente attrattore carico di emozioni che favorisce la preparazione dell'inteprete. Questo spiegherebbe perché il trucco aiuti tanto a sentirsi diversi. Anch'esso si traduce in un effetto in grado di ricostrure la causa. Se è vero che nell'intento di differenziare l'energia in emozione attingiamo comunque ad un archivio di nostre memorie emozionali, è anche vero che le sfumature particolari che rendono riconoscibile e unico il personaggio da interpretare vadano spesso cercate e prelevate altrove, senza escludere il futuro.

L'attore quantico è ognuno di noi, quando siamo in grado di far convergere sul piano della nostra quotidiana esperienza personale, le straordinarie implicazioni della nuova fisica e delle moderne neuroscienze intrecciandole con il nostro desiderio di conoscenza e di creatività.

 

Il potenziale che attende di essere liberato è immenso.

 

Parte di questo articolo è stato scritto per la rivista scientifica "Syntropy".

Qui la versione inglese

Accademia di Arti Sceniche Olistage

Esempio di applicazione del metodo da parte di una giovane allieva alla sua quarta lezione.

Il coinvolgimento emotivo sincero viene raggiunto senza nessun richiamo a memorie precedenti e dunque senza il ricorso alla psicotecnica

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